Caro Giuliano

30 November 2020 Admin

Caro Giuliano

Caro Giuliano,

quando soli pochi mesi fa, del tutto inatteso, mi arrivò un messaggio in cui Rep chiedeva se avesse potuto “girarti” il mio numero di cellulare, risposi subito “certo, con piacere”.

Ma sarei disonesto se negassi che quella richiesta, oltre al piacere, mi provocò anche un certo subbuglio interiore, una sorta d’imbarazzo.

Non eravamo in contatto ormai da più di quarant’anni; come sarebbe stato risentirsi dopo tutto quel tempo? Saremmo stati capaci di “ritrovarci” davvero? Ci sarebbe stato ancora a unirci quel “sentire” comune, quella comune sensibilità verso il mondo, verso gli esseri umani, verso noi stessi?

Comunque – mi dissi – quella tua richiesta a Rep significava sicuramente una cosa: che nonostante questi lunghi decenni trascorsi, anche per te, i ricordi di ciò che abbiamo vissuto insieme, non erano affatto sepolti.

E così, tra piacere e timore, restai in attesa.

“Sciamma, per favoreeee…cazzo, Sciamma! Dai, vieni anche tu!”

Mi pare fosse l’inverno del ’76 e tu eri in agitazione emotivo/sentimentale – diciamo così – per una ragazza di cui non ricordo il nome; eri riuscito miracolosamente a farle accettare un invito al Cinema ma… c’era un ma! La ragazza dei tuoi sogni sarebbe venuta al Cinema si, ma solo se accompagnata da una sua amica. Eccheccazz!…questo destabilizzava totalmente il piano “diabolico” che avevi architettato e cioè,  approfittare del buio della sala per strapparle un bacio, almeno un bacio… (vabbè, eravamo proprio dei ragazzini alla fin fine).

Venni anch’io e in qualche modo feci la mia parte per distrarre l’amica incomoda anche se non ricordo granchè né del film (Novecento, mi pare) né di cosa successe nel buio della sala.

Quello che mi ricordo bene però è la risposta che mi desti quando, una volta salutate le donzelle, ci avviammo verso casa.

“E allora, com’è andata?” chiesi.

E tu, stringendo le labbra, alzando sopracciglia e spalle, e impostando un tono fatalista da tragedia greca, rispondesti così:

“Ehh…ho fatto ho fatto…e non ho visto niente.”

Ancora oggi, e da allora, ogni volta che voglio fare dell’autoironia su un qualunque tipo di fallimento in cui sono incappato “ho fatto ho fatto…e non visto niente.” è quello che ripeto, cercando in qualche modo di imitare quel tuo tono e quella tua espressione all’epoca, per me, fulminante.

Chi mi frequenta lo può testimoniare.

Ma con la tua voce sottile anche altre volte quello che hai detto è rimasto scolpito nella mia memoria: come quel giorno quando, riuscendo a riassumere compiutamente e in poche parole la meraviglia e lo stupore interiore che può provocare uno stato d’animo fino ad allora sconosciuto, hai detto:

“Non avrei mai immaginato che si potesse perdere la testa in questo modo per una donna.”

Poi, un’estate, partimmo per la Bretagna. In un tot, distribuiti su due auto. In quella del “Quercia” – se ricordo bene, anche lui arrivò a Stadera grazie a te – eravamo in… quattro? Può essere? Era una 500 Fiat. Comunque, così mi ricordo e può darsi che mi sbagli, ma di certo non mi sbaglio quando ricordo che in un campeggio (dove?… forse a Le Conquet?) nel bel mezzo della “notte” (saranno state al massimo le otto di sera, per dire) in quel campeggio, frequentato solo da famiglie nordeuropee oltre che da noialtri, unici smandrappati, mentre all’interno della nostra tenda ridevamo e sparlavamo ad alta voce e a tutta birra, all’improvviso, da un angolo non meglio identificato di quel campeggio, una vociona teutonica si alzò dal buio della notte tuonando:

“ITAGLIANO ZEMPRE CAZINO!!!!”

All’istante ci zittimmo, da cuor di leoni quali eravamo, temendo altrimenti chissà quale terrificante rappresaglia nazista al successivo risveglio.

E poi il Gran Viaggione fino al Marocco. All’epoca, i più coraggiosi e intraprendenti partivano (da soli) alla ricerca di se stessi andando in India. Noi, più mediocramente (e in gruppo) ambivamo a mete più a portata di mano e a obiettivi più prosaici. Il Marocco, appunto, per dire.

Così, in una decina, abbiamo messo in cassa comune tipo una cifra di novantamila lire a testa per comprare un mezzo che ci trasportasse fino a laggiù.

E tra la decina c’eri anche tu.

Comprato il mezzo (un furgone Wolksvagen tanto bello quanto vecchio, già immatricolato da sedici anni) il più era fatto.

Si trattava di personalizzarlo, appiccicare qua e là i distintivi  che facessero capire chi eravamo e da che parte stavamo e allora vai con i vari nuclear? No grazie, il pugno chiuso della Tom Robinson band e via dicendo, ognuno di noi si sbizzarrì nel lasciare un segno.

E tu? Te ne arrivasti con le tendine…si, cinque tendine oscuranti cucite da tua madre, da mettere all’interno dei finestrini del Der Wagen. E chi di noi ci aveva pensato a quanto sarebbero state utili?!…Nessuno, solo tu.

La cosa triste però fù che, proprio alla vigilia della partenza, ti arrivò la cartolina rosa, allora cosiddetta, insomma la chiamata al servizio militare.

Dovesti rinunciare a quel viaggio insomma, a quell’avventura.

Mi sarebbe piaciuto oggi parlarne con te, perchè ho l’impressione che quella sia stata una svolta determinante nella tua vita.

Di fatto, da allora, le nostre strade hanno cominciato a dividersi e, del tutto inutile adesso speculare sul perché, non si sono più riincontrate.

E così mi misi in attesa. Dopo quel messaggio di Rep.

Ma niente. Passarono i giorni, le settimane, i mesi ma il tuo contatto, atteso con così tanto piacere e timore, non arrivò mai.

Ovviamente. Anche se solo oggi, dopo avere appreso del tuo sfortunato destino, posso scrivere ovviamente.

Probabilmente provavi il mio stesso e identico “piacere e timore”, ma la tua malattia, la tua sofferenza, il tuo essere cosciente del poco tempo che ti rimaneva a disposizione credo, sia stato quello a suscitare in te il desiderio di, come dire, da una parte chiudere un cerchio anche col tuo passato e provare a contattarmi e dall’altra, allo stesso tempo, impedirtelo.

O, chissà, una certa forma di pudore o semplicemente l’aggravarsi della tua condizione, o meglio, le due cose insieme, alla fine ti hanno impedito di contattarmi.

Ti chiedo perdono Giuliano, ovunque tu ora sia, se non sono stato in grado di prendere io l’iniziativa di contattarti. Non sapevo.

Ho appreso con immenso dispiacere la notizia della tua morte, ma è pur vero però che ho provato, subito dopo, una sorta di sincero orgoglio, un consolatorio piacere, nell’apprendere di tutto quello che sei riuscito a fare in questi quarant’anni, della stima che ti sei guadagnato, della carriera che hai fatto, della umanità che hai praticato nel tuo ruolo istituzionale così impegnativo.

Le parole del primo cittadino di Crema, Stefania Bonaldi, non fanno che confermare la fortuna che ho avuto nel godere della tua giovanile amicizia.

“Piangiamo un Servitore dello Stato esemplare. Di grandissima umiltà e modestia, onesto, pacato, leale, di un garbo non comune; il ruolo e la responsabilità del Comando non hanno mai scalfito queste doti umane…il Comune di Crema e l’Amministrazione perdono un collaboratore fedele, rigoroso, serio, capace di cooperazione sincera e di raffinata sensibilità…”

Di “raffinata sensibilità”… che meraviglioso giudizio ti sei guadagnato, Giuliano.

Hai frequentato poco Stadera (la tua residenza a Mombretto di Mediglia era davvero lontana) e forse non tutti ti ricorderanno. Ma quelli che ti ricordano tra noi sono tanti e, credo, almeno una piccola parte di ciò che in maniera così “raffinata” sei stato, nella tua vita privata e professionale, è frutto almeno un po’ anche di quegli anni lontani ma così intensi vissuti insieme.

Vorrei che tua moglie e tua figlia sapessero che non solo quanto fatto da te in età adulta è stato meritevole di encomio, ma anche il ricordo di te ragazzino, in noi che all’epoca ti abbiamo frequentato, è altrettanto ricco di stima e affetto..

Non hai certo vissuto invano, Giuliano, a tutti noi hai dato e te ne saremo sempre grati.

 

Carlo “Sciamma”